martedì 2 luglio 2013

28 LUGLIO 2013 - CAPANNA AMIANTHE - CELEBRAZIONE CENTENARIO DALL’INAUGURAZIONE

CONCERTO CON MUSICHE DI NICCOLO' PAGANINI

Salita al Rifugio “Chiarella” all’Amianthe m 2979
Ore 11,30 Celebrazione S. Messa, benedizione della Capanna e saluti delle Autorità
Ore 12,30 Colazione presso il Rifugio
Ore 14 discesa a valle.

Per partecipare:

Prenotare il pernottamento in Rifugio del sabato 27 e Domenica 28 (numero massimo di prenotazioni 20/22)

Prenotare l’ascensione alla Tȇte Blanche di lunedì 29 Luglio

Possibilità di salita e discesa Domenica in elicottero, per un numero minimo di 10 persone:
iscrizione con versamento di Euro 150,00 al momento della prenotazione da restituire qualora il tempo non permettesse il volo

In caso di maltempo la celebrazione sarà fatta ad Ollomont.

Quartetto
Violino: Sylvia Trabucco
viola: Gabriella Diatto
violoncello: Alberto Pisani
chitarra: Michele Trenti


http://www.caichiavari.it/index.php?option=com_content&task=view&id=333&Itemid=53

https://www.facebook.com/events/393296240774677/

martedì 25 giugno 2013

Giardino sul balcone

Ciao, il balcone stà diventando il mio angolo artistico/realizzativo.. e allora via alla semina:

angolo

 a parte le classiche piantine comprate all'esselunga di: basilico, salvia, rosmarino; ho comprato i semi della lattuga riccia (verde/rossa) e prezzemolo.

Lattuga riccia
 
 Intanto dalla mensa mi son portato a casa i semi di: pomodoro, anguria e, preso dal mio frigo, peperoncino italiano. Seminando i limoni sono spuntate cinque piantine..

 

giovedì 29 novembre 2012

L’universo ha uno scopo? Risponde Neil DeGrasse Tyson

“Non ne sono sicuro. Ma chiunque esprima una risposta più definitiva a questa domanda asserisce di avere accesso a conoscenze che non hanno basi empiriche. Questo modo di pensare, sorprendentemente persistente, comune alla maggior parte delle religioni e ad alcune branche della filosofia, ha fallito pesantemente nei propri passati tentativi di capire, e pertanto predire, il funzionamento dell'universo e il nostro ruolo in esso. Affermare che l'universo ha uno scopo implica che vi sia un risultato desiderato. Ma chi compierebbe l'atto di desiderare? E quale sarebbe questo risultato desiderato? Che le forme di vita basate sul carbonio siano inevitabili? O che dei primati senzienti siano l'acme neurologico della vita? Ovviamente gli esseri umani non sono stati presenti per fare queste domande per il 99,9999% della storia del cosmo. Quindi se lo scopo dell'universo era creare esseri umani, allora il cosmo è stato vergognosamente inefficiente nel farlo. E se lo scopo ulteriore dell'universo era creare una culla feconda per la vita, allora il nostro ambiente cosmico ha un modo molto strano di manifestarlo. La vita sulla Terra, nel corso di oltre tre miliardi e mezzo di anni d'esistenza, è stata aggredita incessantemente dalle fonti naturali di caos, morte e distruzione. La devastazione ecologica inflitta dai vulcani, dai cambiamenti climatici, terremoti, tsunami, tempeste, e in particolare gli asteroidi-killer hanno causato l'estinzione del 99,9% di tutte le specie mai vissute qui. E che dire della vita umana in sé? Se siete persone religiose, potreste dichiarare che lo scopo della vita è servire Dio. Ma se siete uno dei cento miliardi di batteri che vivono e lavorano in un solo centimetro del vostro intestino crasso, potreste invece affermare che lo scopo della vita umana è fornirvi un ambiente vitale buio ma idilliaco e anaerobico di materia fecale. Pertanto, in assenza di arroganza umana, l'universo appare sempre più casuale. Ogni volta che gli eventi che si dice siano per il nostro bene sono altrettanto numerosi quanto gli altri eventi che ci ucciderebbero, l'intenzionalità risulta difficile, se non impossibile, da affermare. Quindi anche se non posso affermare di sapere con certezza se l'universo abbia o no uno scopo, le argomentazioni contrarie sono solide e percepibili da chiunque veda l'universo per quello che è e non per quello che vorrebbe che fosse.“ – Neil DeGrasse Tyson pubblicato da: One Minute Physics

mercoledì 21 settembre 2011

LA VERTIGINE DELLA LIBERTÀ

MI CHIEDO se sia ancora possibile spiegare a un ragazzo di oggi, che di lui sa ben poco, perché Walter Bonatti è stato uno dei più grandi italiani di sempre. Mi chiedo, soprattutto, se sia ancora possibile spiegarlo a noi stessi. Dovrei partire da una parola che è ardua da maneggiare già in sé, e nei nostri anni ha quasi perduto asilo. Questa parola è purezza. Una purezza cercata salendo in parete - l'ascesi dell'alpinismo, la terra che prova a farsi cielo - e selezionando i pochi mezzi "etici" e dunque leciti per salire: piedi, mani, corpo, chiodi, sguardo, in cocciuta antitesi con ogni artificio tecnico e ogni intrusione del marketing.
La purezza di chi decide sempre da solo cosa fare e perché farlo. Dove andare e perché andarci. Nessuno mandò mai Bonatti. Fu sempre lui che andò. Dopo purezza, anzi insieme a purezza, viene libertà. Una libertà intuita da bambino, alla fine degli anni Trenta, guardando le Alpi dagli argini del Po, sognando di salirci, arrampicandosi sui pioppi per vederle meglio, e cominciare a guadagnare qualche metro sul Ground Zero della vita. Provate a immaginare, pochi anni dopo, tra le macerie della guerra, un giovanissimo operaio della Falck che consuma l'intera settimana di lavoro smaniando per raggiungere, di domenica, le montagne più vicine (la Grigna, che con il Bianco è stata la sua patria). «Da una parte avevo la natura, avevo la libertà. Dall'altra la costrizione senza limiti di una società che mi offriva solo delusioni e massacri. Dormivo sul balcone per abituarmi al freddo». Treni notturni per arrivare sotto la parete alle prime luci dell'alba. Quasi sempre da solo.
Solitudine è la terza parola. Mentre prorompe la società di massa, e tutto si costruisce e si disfa attorno ai comportamenti collettivi, Bonatti cerca e trova la propria misura, il proprio valore, appeso a una parete, giorno e notte, con il proprio respiro e il battito del cuore a segnare il tempo. Sotto di lui, nella caligine, la Pianura padana con le sue fabbriche,i capannoni, le prime autostrade, i cartellini da timbrare, il mondo dal quale Walter era fuggito. Non per asocialità (ha avuto molti amici, leggeva molti giornali, si è sempre interessato di politica e negli ultimi anni provava sbalordimento e disgusto, come tanti, per la situazione del nostro paese), ma perché ci sono persone che trovano solo dentro di sé il vero campo di battaglia.
In solitaria e d'inverno, sfidando lo strapiombo nel gelo, sono le sue tre massime imprese alpinistiche (Cervino, Eiger, Jorasses), solitaria è stata la sua lotta implacabile per ottenere, cinquant'anni dopo, la verità sulla spedizione italiana
al K2, solitarie le sue successive esplorazioni nei deserti, nella grande foresta pluviale, in mezzo ai ghiacci, sull'orlo dei vulcani. Titanismo, narcisismo, superomismo sono le accuse che ogni grande alpinista è abituato a fronteggiare.
Ma la solitudine, quando sia una regola e non un vezzo, è anche altro ed è certamente molto di più: costringersi ad affrontare se stessi, senza scampo, senza vie di fuga.
L'ultima parola per cercare di raccontare Bonatti, e forse quella definitiva, è natura. Centinaia, migliaia di immagini di Walter, a partire dalle remote riprese in bianco e nero del telegiornale (1965) che cercava di individuarlo sulla Nord del Cervino, sono immagini di natura. Lui, l'uomo, anche se ha il fisico e la
chiarezza di sguardo dell'eroe classico, ne è appena un frammento, l'ospite fragile e orgoglioso, il palpitante testimone che trova senso, libertà, misura solo al cospetto di quella magnificenza. «Ogni volta che vado sul Bianco, sono un figlio
che torna al Padre». Nel secolo in cui l'uomo ha cominciato a perdere la natura, e forse anche a perdere natura, l'epopea di Bonatti (ciò che ci fa parlare di lui, oggi, con il cuore gonfio di rimpianto, di amicizia e di infinita gratitudine) è l'epopea della natura incoercibile, invincibile, e a noi uomini destinata a sopravvivere. L'alpinista, che è soprattutto un agonista, conta le cime conquistate e le chiama vittorie. Ma sa che a vincere è sempre la montagna, che ci sovrasta smisuratamente nello spazio e nel tempo, che ci precede e ci sopravviverà non di pochi anni (quanti ne dura la nostra breve passeggiata), ma di intere ere geologiche. Bonatti ha misurato e raccontato quelle infinità, quelle vertigini, come pochi al mondo, e nel momento stesso in cui lo ammiravamo sulle cime, lo sentivamo due volte fratello: nell'orgoglio della vittoria e nella fragilità estrema di quell'uomo in parete, di quel puntino vivo sull'eterno.

Michele Serra
La Repubblica 15-09-2011

sabato 30 gennaio 2010

estratti da "il peso della farfalla"

Il peso della farfalla - Erri de Luca

"In ogni specie sono i solitari a tentare esperienze nuove. Sono una quota sperimentale che va alla deriva. Dietro di loro la traccia aperta si chiude."

"Un uomo che non frequenta donne è un uomo senza. Non è un uomo e basta, nient'altro da aggiungere. E' un uomo senza. Può dimenticarselo, ma quando si ritrova davanti, lo sa di nuovo."